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ANTONIO CUGINI                                                   Tassinaro poeta





                   Che i tassisti siano soliti intrattenere i clienti sugli argomenti più vari non è una novità. La
            conversazione fa parte del loro mestiere e, nella maggior parte dei casi, uno scambio di idee, una
            comunicazione verbale è richiesta e gradita. Di solito si affrontano temi di attualità, di sport, di
            politica.  Naturalmente  si  parla  di  traffico  e  di  malgoverno  cittadino:  sono  mugugnatori  di
            professione. Sorprende il livello e la completezza della loro informazione, talvolta stupisce la loro

            arguzia  scanzonata  e  la  loro  cultura.  Del  resto,  come  dice  il  tassista  Sergio  Rossi,  detto  "er
            poeta":"er  tassinaro  pe'  accontentà  er  cliente  /  ce  deve  dialogà  libberamente".  E  quindi  se  il
            tempo  dell’attesa  per  "affittare"  è  spesso  lungo,  specialmente  oggi,  i  tassisti  lo  occupano
            aggiornandosi  e  coltivandosi.  C’è  chi  legge  romanzi,  riviste,  giornali;  chi  sente  la  radio;  chi  si

            esercita  nelle  attività  più  diverse.  Per  esempio,  un  simpatico  quarantenne  romano,  Alessandro
            Costantini, suona la tromba. Molti scrivono. Memorie, appunti, saggi, vicende fantastiche, poesie.
            Sì, perché  il nostro  popolo, oltre  a  santi,  eroi,  navigatori  annovera,  come  si  sa,  anche  poeti  in
            abbondanza, di cui pure fra i tassisti c’è una degna rappresentanza. Ne circolavano parecchi anni
            fa,  ora  forse  meno  e  il  già  citato  Sergio  Rossi,  autore  in  vernacolo  di  "Taxi  a  Roma  turno  di
            notte", ne è un buon esempio.

                   Ma quando  la Musa ci dà troppo dentro, la faccenda si fa seria. È il caso raccontato da
            Emerico Giachery cui cediamo la parola. "Più di una volta incappai nel più pittoresco di questi
            rimatori  su  quattro  ruote,  che  si  chiamava  Antonio  Cugini.  Il  cliente  non  faceva  in  tempo  ad
            accomodarsi nell’abitacolo e a comunicare l’indirizzo di destinazione, che veniva apostrofato con
            le parole:  «Lei non  sa  con  chi  viaggia».  E, dopo  un attimo  di  suspense:  «Lei  viaggia  col  tassista-

            poeta». A conferma, veniva subito offerto "con sconto speciale per clienti del tassì" un volumetto
            estratto dal cruscotto. Condiscendente per indole, acquistai i volumetti di Cugini".
                   Di questi, uno è intitolato Volare, ma non è un commento alla nota canzone di Modugno,
            né  un  manuale  su  come  raggiungere  la  destinazione  del  cliente  a  tempo  di  record  nel  traffico
            cittadino, bensì una filippica contro l’uomo che ha costruito gli aerèi (licenza poetica per una rima

            obbligata) per usarli poi in bombardamenti assassini.
                   L’opera principale, il vero capolavoro in cui l’autore ha espresso tutta la sua vena poetica e
            la sua filosofia è un poema dal titolo jettatorio Sepolcreide in cui si vuole aspramente "denunciare
            Urbis  et  Orbis"  (sic!)  la  mendacità  odiosa  di  quanto  scritto  in  elogio  dei  defunti  sulle  lapidi  in
            contrasto  con  le  "nefandità,  sozzure  e  scelleratezze".  che  caratterizzarono  la  loro  vita.  Per

            sviluppare questo concetto il Cugini utilizza ben quindici canti  quindici in sestine, preceduti da
            un Prologo e seguiti da un Epilogo. Nella sua introduzione l’autore avverte:"Mi accinsi a scrivere
            questi versi dopo matura riflessione" e accosta – in verità con dovuta distanza e rispetto – la sua
            fatica  a  quella  di  Foscolo  e  di  Dante.  Certo  si  deve  ammettere  che  in  questa  farneticazione
            ossessiva,  in  quest’orgia  di  endecasillabi  dalla  rima  talvolta  incerta  c’è  una  forza  antica  di
            cantastorie, condita di quella cultura classica, che non pochi danni spesso ha recato. E dire che il

            poeta tassista non viene da scuole privilegiate ma dai campi ed "è un autodidatta che si maturò


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