Page 9 - fabrizi
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chiamavano "Commendatore" che a quei tempi era il massimo dell'ossequio e

                        del rispetto. L'attuale appellativo di "Maestro" non era di moda, anzi sarebbe
                        suonato un po' poco riguardoso se non sfottente. Quando Blasetti mi presentò

                        ricordo chiaramente in Fabrizi un moto di sorpresa e di stupore che il figlio di
                        Ceccarius  fosse  capitato  lì  in  mezzo  a  guitti  e  a  gente  di  poco  conto.

                        Comunque  tra  noi,  considerato  il  caratterino,  ci  fu  un  corretto  rapporto
                        professionale.

                        Qualche anno dopo, credo verso il 1960, ci rincontrammo a Monterosi , sotto
                        Viterbo,  durante  una  "nottata"  per  La  sposa  bella  di  Nunnally  Johnson,  film

                        americano  sulla  guerra  civile  spagnola,  con  Ava  Gardner  e  Dirk  Bogarde;
                        Fabrizi vi prese parte, una sola "posa", un "cameo" di un eroico prete che viene

                        ucciso.  Caratterizzazione  questa  che  non  poteva  più  togliersi  di  dosso  dopo

                        Roma  città  aperta  con  la  scusante  della  colta  citazione.  Figurarsi  Fabrizi:  più
                        arrabbiato  che  mai,  una  notte  freddissima,  una  parte  che  non  poteva

                        fregargliene  di  meno,  andò  in  scena,  borbottò  qualche  parola  del  suo
                        americano e se ne ritornò a Roma verso l'alba. Non ebbi il coraggio nemmeno

                        di salutarlo.
                             Un  saluto  commosso  ci  fu  dopo  la  prima  di  Rugantino,  la  commedia

                        musicale, tutta romana, di Garinei e Giovannini. Durante la preparazione gli
                        autori e il costumista Giulio Coltellacci avevano preso contatto con Ceccarius

                        per  documentarsi  su  scene  e  costumi  della  Roma  dell'800.  Al  termine  dello
                        spettacolo  andai  con  mio  padre  nel  camerino  di  Fabrizi  per  salutarlo  e  per

                        rallegrarci  della  sua  grande  interpretazione.  Rammento  un  "Mastro  Titta"
                        accaldato, sudato, distrutto, però ebbro e felice per lo scroscio di applausi che

                        aveva ricevuto lui, la compagnia e la commedia. Tanto era stanco che non si
                        alzò  nemmeno  dalla  poltrona:  era  il  monumento  alla  sua  pancia  e  ai  suoi

                        straordinari occhi a rana . Ma era sicuramente un monumento all'arte di Aldo

                        Fabrizi seduto e beato, intorno al quale gli amici giravano, numerosissimi, in
                        mezzo a tanti fiori e a un profumo di lavanda e di borotalco.

                             Credo che Fabrizi, in fin dei conti, abbia avuto una vita faticata sì, ma,
                        tutto sommato, felice e piena di soddisfazioni. Solo due cose non è riuscito a

                        realizzare: un teatro tutto suo e un grande film romano sul Marchese del Grillo
                        Avere un teatro personale è l'aspirazione ricorrente dei grandi attori arrivati al

                        pieno  riconoscimento:  ci  riesce  Eduardo  a  Napoli,  non  ce  la  fa  Petrolini  a
                        Roma. Ci prova Fabrizi e concretamente, tanto che, intorno al 1955 acquista il


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